In mezzo a questa folla di accattoni e di poveri vergognosi passavano di tanto in tanto alcune carrozze signorili con dentro o qualche volpe, o qualche gazza ladra o qualche uccellaccio di rapina.
– E il Campo dei miracoli dov’è? – domandò Pinocchio.
– È qui a due passi.
Detto fatto traversarono la città e, usciti fuori dalle mura, si fermarono in un campo solitario che, su per giù, somigliava a tutti gli altri campi.
– Eccoci giunti, – disse la Volpe al burattino. – Ora chinati giù a terra, scava con le mani una piccola buca nel campo e mettici dentro le monete d’oro.
Pinocchio ubbidì. Scavò la buca, ci pose le quattro monete d’oro che gli erano rimaste: e dopo ricoprì la buca con un po’ di terra.
– Ora poi, – disse la Volpe, – vai alla gora qui vicina, prendi una secchia d’acqua e annaffia il terreno dove hai seminato.
Pinocchio andò alla gora, e perché non aveva lì per lì una secchia, si levò di piedi una ciabatta e, riempitala d’acqua, annaffiò la terra che copriva la buca. Poi domandò:
– C’è altro da fare?
– Nient’altro, – rispose la Volpe. – Ora possiamo andar via. Tu poi ritorna qui fra una ventina di minuti e troverai l’arboscello già spuntato dal suolo e coi rami tutti carichi di monete.
Il povero burattino, fuori di sé dalla contentezza, ringraziò mille volte la Volpe e il Gatto, e promise loro un bellissimo regalo.
– Noi non vogliamo regali, – risposero quei due malanni. – A noi ci basta di averti insegnato il modo di arricchire senza durar fatica, e siamo contenti come pasque.
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