– E allora chi t’ha insegnato a portar via la roba degli altri?...
– Avevo fame...
– La fame, ragazzo mio, non è una buona ragione per potere appropriarsi la roba che non è nostra...
– È vero, è vero! – gridò Pinocchio piangendo, – ma un’altra volta non lo farò più.
A questo punto il dialogo fu interrotto da un piccolissimo rumore di passi, che si avvicinavano.
Era il padrone del campo che veniva in punta di piedi a vedere se qualcuna di quelle faine, che mangiavano di nottetempo i polli, fosse rimasta al trabocchetto della tagliuola.
E la sua maraviglia fu grandissima quando, tirata fuori la lanterna di sotto il pastrano, s’accorse che, invece di una faina, c’era rimasto preso un ragazzo.
– Ah, ladracchiòlo! – disse il contadino incollerito, – dunque sei tu che mi porti via le galline?
– Io no, io no! – gridò Pinocchio, singhiozzando. – Io sono entrato nel campo per prendere soltanto due grappoli d’uva!...
– Chi ruba l’uva è capacissimo di rubare anche i polli. Lascia fare a me, che ti darò una lezione da ricordartene per un pezzo.
E aperta la tagliuola, afferrò il burattino per la collottola e lo portò di peso fino a casa, come si porterebbe un agnellino di latte.
Arrivato che fu sull’aia dinanzi alla casa, lo scaraventò in terra: e tenendogli un piede sul collo, gli disse:
– Oramai è tardi e voglio andare a letto. I nostri conti li aggiusteremo domani. Intanto, siccome oggi mi è morto il cane che mi faceva la guardia di notte, tu prenderai subito il suo posto. Tu mi farai da cane di guardia.
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Pinocchio Pinocchio Lascia
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