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      – Oh! sono stufo di far sempre il burattino! – gridò Pinocchio, dandosi uno scappellotto. – Sarebbe ora che diventassi anch’io un uomo come tutti gli altri.
      – E lo diventerai, se saprai meritartelo...
      – Davvero? E che posso fare per meritarmelo?
      – Una cosa facilissima: avvezzarti a essere un ragazzino perbene.
      – O che forse non sono?
      – Tutt’altro! I ragazzi perbene sono ubbidienti, e tu invece...
      – E io non ubbidisco mai.
      – I ragazzi perbene prendono amore allo studio e al lavoro, e tu...
      – E io, invece, faccio il bighellone e il vagabondo tutto l’anno.
      – I ragazzi perbene dicono sempre la verità...
      – E io sempre le bugie.
      – I ragazzi perbene vanno volentieri alla scuola...
      – E a me la scuola mi fa venire i dolori di corpo. Ma da oggi in poi voglio mutar vita.
      – Me lo prometti?
      – Lo prometto. Voglio diventare un ragazzino perbene e voglio essere la consolazione del mio babbo... Dove sarà il mio povero babbo a quest’ora?
      – Non lo so.
      – Avrò mai la fortuna di poterlo rivedere e abbracciare?
      – Credo di sì: anzi ne sono sicura.
      A questa risposta fu tale e tanta la contentezza di Pinocchio, che prese le mani alla Fata e cominciò a baciargliele con tanta foga, che pareva quasi fuori di sé. Poi, alzando il viso e guardandola amorosamente, le domandò:
      – Dimmi, mammina: dunque non è vero che tu sia morta?
      – Par di no, – rispose sorridendo la Fata.
      – Se tu sapessi, che dolore e che serratura alla gola che provai, quando lessi qui giace...
      – Lo so: ed è per questo che ti ho perdonato. La sincerità del tuo dolore mi fece conoscere che tu avevi il cuore buono: e dai ragazzi buoni di cuore, anche se sono un po’ monelli e avvezzati male, c’è sempre da sperar qualcosa: ossia, c’è sempre da sperare che rientrino sulla vera strada.


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Pinocchio
di Carlo Collodi
pagine 153

   





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