Ecco perché son venuta a cercarti fin qui. Io sarò la tua mamma...
– Oh! che bella cosa! – gridò Pinocchio saltando dall’allegrezza.
– Tu mi ubbidirai e farai sempre quello che ti dirò io.
– Volentieri, volentieri, volentieri!
– Fino da domani, – soggiunse la Fata, – tu comincerai coll’andare a scuola.
Pinocchio diventò subito un po’ meno allegro.
– Poi sceglierai a tuo piacere un’arte o un mestiere...
Pinocchio diventò serio.
– Che cosa brontoli fra i denti? – domandò la Fata con accento risentito.
– Dicevo... – mugolò il burattino a mezza voce, – che oramai per andare a scuola mi pare un po’ tardi...
– Nossignore. Tieni a mente che per istruirsi e per imparare non è mai tardi.
– Ma io non voglio fare né arti né mestieri...
– Perché?
– Perché a lavorare mi par fatica.
– Ragazzo mio, – disse la Fata, – quelli che dicono così, finiscono quasi sempre o in carcere o all’ospedale. L’uomo, per tua regola, nasca ricco o povero, è obbligato in questo mondo a far qualcosa, a occuparsi, a lavorare. Guai a lasciarsi prendere dall’ozio! L’ozio è una bruttissima malattia, e bisogna guarirla subito, fin da ragazzi: se no, quando siamo grandi, non si guarisce più.
Queste parole toccarono l’animo di Pinocchio, il quale rialzando vivacemente la testa disse alla Fata:
– Io studierò, io lavorerò, io farò tutto quello che mi dirai, perché, insomma, la vita del burattino mi è venuta a noia, e voglio diventare un ragazzo a tutti i costi. Me l’hai promesso, non è vero?
– Te l’ho promesso, e ora dipende da te.
XXVI
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