Pinocchio va co’ suoi compagni di scuola in riva al mare, per vedere il terribile Pescecane.
Il giorno dopo Pinocchio andò alla scuola comunale.
Figuratevi quelle birbe di ragazzi, quando videro entrare nella loro scuola un burattino! Fu una risata, che non finiva più. Chi gli faceva uno scherzo, chi un altro; chi gli levava il berretto di mano; chi gli tirava il giubbettino di dietro; chi si provava a fargli coll’inchiostro due grandi baffi sotto il naso; e chi si attentava perfino a legargli dei fili ai piedi e alle mani per farlo ballare.
Per un poco Pinocchio usò disinvoltura e tirò via; ma finalmente, sentendosi scappar la pazienza, si rivolse a quelli, che più lo tafanavano e si pigliavano gioco di lui, e disse loro a muso duro:
– Badate, ragazzi: io non son venuto qui per essere il vostro buffone. Io rispetto gli altri e voglio essere rispettato.
– Bravo berlicche! Hai parlato come un libro stampato! – urlarono quei monelli, buttandosi via dalle matte risate: e uno di loro, più impertinente degli altri allungò la mano coll’idea di prendere il burattino per la punta del naso.
Ma non fece a tempo: perché Pinocchio stese la gamba sotto la tavola e gli consegnò una pedata negli stinchi.
– Ohi! che piedi duri! – urlò il ragazzo stropicciandosi il livido che gli aveva fatto il burattino.
– E che gomiti!... anche più duri dei piedi! – disse un altro che, per i suoi scherzi sguaiati, s’era beccata una gomitata nello stomaco.
Fatto sta che dopo quel calcio e quella gomitata Pinocchio acquistò subito la stima e la simpatia di tutti i ragazzi di scuola: e tutti gli facevano mille carezze e tutti gli volevano un bene dell’anima.
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