Lascio pensare a voi il dolore, la vergogna e la disperazione del povero Pinocchio!
Cominciò a piangere, a strillare, a battere la testa nel muro: ma quanto più si disperava, e più i suoi orecchi crescevano, crescevano e diventavano pelosi verso la cima. Al rumore di quelle grida acutissime, entrò nella stanza una bella Marmottina, che abitava il piano di sopra: la quale, vedendo il burattino in così grandi smanie, gli domandò premurosamente:
– Che cos’hai, mio caro casigliano?
– Sono malato, Marmottina mia, molto malato... e malato d’una malattia che mi fa paura! Te ne intendi tu del polso?
– Un pochino.
– Senti dunque se per caso avessi la febbre.
La Marmottina alzò la zampa destra davanti: e dopo aver tastato il polso di Pinocchio gli disse sospirando:
– Amico mio, mi dispiace doverti dare una cattiva notizia!...
– Cioè?
– Tu hai una gran brutta febbre!...
– E che febbre sarebbe?
– È la febbre del somaro.
– Non la capisco questa febbre! – rispose il burattino, che l’aveva pur troppo capita.
– Allora te la spiegherò io, – soggiunse la Marmottina. – Sappi dunque che fra due o tre ore tu non sarai più burattino, né un ragazzo...
– E che cosa sarò?
– Fra due o tre ore, tu diventerai un ciuchino vero e proprio, come quelli che tirano il carretto e che portano i cavoli e l’insalata al mercato.
– Oh! Povero me! Povero me! – gridò Pinocchio pigliandosi con le mani tutt’e due gli orecchi, e tirandoli e strapazzandoli rabbiosamente, come se fossero gli orecchi di un altro.
– Caro mio, – replicò la Marmottina per consolarlo, – che cosa ci vuoi tu fare?
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