E così in pochi anni aveva fatto fior di quattrini ed era diventato milionario.
Quel che accadesse di Lucignolo, non lo so: so, per altro, che Pinocchio andò incontro fin dai primi giorni a una vita durissima e strapazzata.
Quando fu condotto nella stalla, il nuovo padrone gli empì la greppia di paglia: ma Pinocchio, dopo averne assaggiata una boccata, la risputò.
Allora il padrone, brontolando, gli empì la greppia di fieno: ma neppure il fieno gli piacque.
– Ah! non ti piace neppure il fieno? – gridò il padrone imbizzito. – Lascia fare, ciuchino bello, che se hai dei capricci per il capo, penserò io a levarteli!...
E a titolo di correzione, gli affibbiò subito una frustata nelle gambe.
Pinocchio dal gran dolore, cominciò a piangere e a ragliare, e ragliando, disse:
– J-a, j-a, la paglia non la posso digerire!...
– Allora mangia il fieno! – replicò il padrone che intendeva benissimo il dialetto asinino.
– J-a, j-a, il fieno mi fa dolere il corpo!...
– Pretenderesti, dunque, che un somaro, par tuo, lo dovessi mantenere a petti di pollo e cappone in galantina? – soggiunse il padrone arrabbiandosi sempre più e affibbiandogli una seconda frustata.
A quella seconda frustata Pinocchio, per prudenza, si chetò subito e non disse altro.
Intanto la stalla fu chiusa e Pinocchio rimase solo: e perché erano molte ore che non aveva mangiato cominciò a sbadigliare dal grande appetito. E, sbadigliando, spalancava una bocca che pareva un forno.
Alla fine, non trovando altro nella greppia, si rassegnò a masticare un po’ di fieno: e dopo averlo masticato ben bene, chiuse gli occhi e lo tirò giù.
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