Altrimenti si corre il pericolo di ricevere la lezione che si ebbe un certo avaro, il quale invitò parecchi amici a pranzo e fece servire: una minestra di riso al brodo, un lesso di manzo, un piatto di spinacci, formaggio e pere. Dopo pranzo disse ai convitati:
Vedono che proprio non ho fatto complimenti.
Via, rispose uno di quegli infelici, non doveva poi obbedirci tanto strettamente.
Del resto, per questi pranzi d'amici intimi, basta ricordare quanto diceva Brillat-Savarin, gastronomo di grande rinomanza:
Invitare una persona, equivale ad assumere l'incarico della sua felicità per tutto il tempo che deve passare in casa nostra.
Ci si metta cordialità ed affetto, e basta.
Ma dove si richiede tutta l'intelligenza d'una buona padrona di casa, è ai pranzi più o meno di gala.
Lo stesso Brillat-Savarin diceva che, perchè un pranzo riesca bene, i commensali debbono essere non meno delle Grazie, e non più delle Muse.
Per verità io credo che, senza uscire dalla mitologia, si possa salire fino al numero delle Ore, senza inconvenienti. Purchè sia proporzionato il numero degli uomini e delle signore. Una vicina gentile, che potrebbe agitarsi, od anche cadere svenuta se nascesse una discussione, basterà sempre ad impedire ad un uomo educato di impegnarsi in quei discorsi di politica, di religione, che fanno bollire il sangue facilmente.
Bisogna calcolare il numero di persone che possono stare alla tavola, a tutt'agio con uno spazio non minore ai sessanta e non maggiore di settanta centimetri per ciascuna.
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