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      Ed il Dottorino, da uomo superiore, non era permaloso. Lasciava che si facessero curare da chi credevano quand'erano malati, e non rifiutava per questo di mangiare e bere con loro quand'erano sani.
     
      In qualunque ora ed in ogni circostanza il Dottorino si vedeva sempre vestito di nero con vecchi abiti da parata troppo stretti e troppo corti. Portava un'immensa pezzuola bianca, ripiegata a cravatta, che girava due o tre volte intorno al collo e, coll'estremità delle cocche, faceva un nodino stretto sulla gola che pareva un piccolo gozzo. Quando il Dottorino rideva, quel nodino ballonzolava allegramente, come se fosse una parte di lui, vivamente interessata alla sua ilarità. Se il Dottorino beveva, ad ogni sorso che ingoiava, il nodino faceva certe inclinazioni lente e beate da fine conoscitore. E nei momenti d'ubbriachezza, quando tutta la persona del Dottorino si faceva floscia e tremante, anche il nodino oscillava con un'aria languida che faceva pietà. A quell'abbigliatura da cerimonia s'aggiungeva immancabilmente un cappello a tuba troppo largo di tesa, troppo basso di testa, e sempre un po' inclinato sull'orecchio sinistro.
      Dacché il Dottorino era a Fontanetto, nessuno si ricordava di averlo mai veduto con un'altra vestitura. Aveva preso moglie, era diventato padre, poi era rimasto vedovo, e cogli stessi abiti era comparso alle nozze, al battesimo ed ai funerali. Erano vent'anni che andava per monti e per valli di giorno e di notte, nelle case dei contadini malati, e sempre vestito di nero e sempre in cappello a tuba.


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Il tramonto d'un ideale
di Marchesa Colombi
pagine 171

   





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