A mio figlio ci penso io, e nessuno se ne deve immischiare. Voi altre non sapete cosa sia la patria potestà. Andate a farvela insegnare. Via! Scccc! Via!».
Quando fu rientrato ed ebbe rinchiuso l'uscio, gli strilli del bambino raddoppiarono, si fecero più angosciosi, e così disperatamente acuti, che si udivano da un capo all'altro del villaggio. Poi a poco a poco andarono affievolendosi, finché cessarono affatto.
Allora il Dottorino uscì tutto rosso in volto, e gli tremavano le mani e la voce quando disse a due vicine ostinate che erano rimaste sulla scala: «Andate a farlo rinvenire, e cercatemi una serva che gli badi lei, altrimenti...».
Il domani fin dal mattino, le comari cominciarono una processione alla casa del Dottorino per offrirgli delle serve: egli aveva già ripreso il suo bell'umore, e disse: «Datemi la più giovine e bellina».
Era di buon gusto, ed alla bellezza, anche rusticana, faceva sempre buon viso. Ma la prima serva che gli toccò non seppe apprezzare le galanterie del Dottorino, e dopo alcuni giorni se ne andò via. Poi ne ebbe di più ragionevoli che rimasero, ed anzi avrebbero voluto rimaner dell'altro; ma dovette mandarle via lui, perché era già così frastornato da quella paternità legittima ereditata dal matrimonio, che non voleva correre il rischio di duplicare il guaio. Sapeva per prova che non metteva conto beneficare i figlioli. Il suo non era altro che un ingrato. Appena udiva il passo del padre, si metteva a tremare, o badava nascondersi. Se il Dottorino gli rivolgeva la parola, sussultava come se gli avessero sparata una pistola rasente l'orecchio, e rispondeva a monosillabi, mentre colle serve era chiacchierino e giocava volentieri.
| |
Dottorino Dottorino Dottorino Dottorino
|