Ed in paese credevano che fosse quello il suo nome.
Una volta Giovanni, il bimbo del Dottorino, le domandò: «Perché ti chiamano la Matta?»
«Non so» rispose la serva.
«È il tuo nome» disse ancora Giovanni.
«No. Il mio nome è la Mata».
«La Mata non è un nome».
«Io non so».
Giovanni riuscì ad avere una spiegazione da qualche compagno di scuola o dalla maestra, ed al ritorno andò in cucina tutto trionfante per ripeterla alla serva. Ma questa disse: «La Matta o la Mata fa lo stesso».
«Ma non è la Mata, è Amata che ti chiami; si dice l'Amata».
«Io non so» concluse la Matta. Ma guardò lungamente il fanciullo con occhio intenerito, e sorrise in silenzio.
Una volta, tornando dalla scuola, Giovanni la trovò tutta accesa in volto, con gli occhi gonfi e delle traccie di lacrime sulle guancie, e le domandò: «Che cos'hai?».
Ella si portò una mano alla spalla destra, contorcendosi in segno di dolore.
«Hai male?» tornò a domandare il bambino.
«Sí» accennò la Matta.
«Sei caduta?»
«No; è stato nel battermi che m'ha tirata forte pel braccio».
«Chi?»
«Lui» rispose la Matta a bassa voce come se il Dottorino potesse udirla. Non lo chiamava mai altrimenti che lui.
«Ah! piangi perché t'ha battuta?» spiegò Giovanni.
«No; è il dolore che mi fa piangere». Ma a quelle domande, che dimostravano dell'interessamento per lei, rideva traverso le lacrime.
La sera, prima di coricare il fanciullo, gli disse: «Guarda». E sfibbiando il vestito, che mise a nudo il suo petto embrionale da adolescente, gli mostrò la spalla orribilmente gonfia e livida.
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