Rimasero stupefatti tutti e due l'uno in faccia all'altra.
«Cosa si deve farci?» domandò Giovanni; e la Matta rispose: «Non so». Poi tornarono a guardarsi senza sapere cosa dire. Finalmente Giovanni ebbe un'idea.
«Domattina domanderò alla maestra» disse.
La fanciulla gli sorrise con riconoscenza, ricoperse la sua ingenua nudità, ed andò a coricarsi col suo male.
Il mattino il gonfiore era cresciuto enormemente, il braccio era immobile, e l'ammalata aveva la febbre violenta. Bisognò tenerla a letto e chiamare la sua balia per assisterla. Fu ancora la Lucia che rispose all'appello invece della balia, perché questa lavorava nei campi, e tutte le sue ore erano occupate.
Quando Giovanni tornò dalla scuola, disse alla Matta: «La maestra ha detto che bisogna metterci dell'arnica sulla spalla malata».
La ragazza respinse col braccio libero le coperte perché potesse applicarle la medicina della maestra; ma Giovanni riprese un po' mortificato: «Io non ho l'arnica».
Tornarono a guardarsi in silenzio, poi il fanciullo tornò a dire: «Non l'ho; non so cosa sia». E la Matta rispose: «Non so». E si ravviò le coperte.
Tutto questo era accaduto quando Giovanni frequentava la scuola soltanto da pochi mesi.
Poi il tempo passò, ed a misura che egli faceva progressi nello studio i suoi compagni lo guardavano con ammirazione, ambivano d'avvicinarlo, gli amministravano ridendo dei pugni amichevoli, ai quali egli rispondeva con certi spintoni da lasciare l'impronta in chi li riceveva.
Fu iniziato a tutti i giochi, e ben presto ne divenne l'iniziatore ed il caporione.
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