Saltare, correre, inseguire e farsi inseguire, strillare con tutta la forza de' suoi giovani polmoni, erano cose nuove per Giovanni, che fino allora aveva vissuto solitario. Se ne appassionò tanto, che le ricreazioni della scuola non gli bastarono più, ed in casa sua, appena il Dottorino usciva, cercava d'avvezzare la Matta a giocare con lui.
Si faceva inseguire per le stanze e le gridava: «Più lesta! Più lesta! Pigliami se ti riesce!».
E la serva faceva dei piccoli passi colle sue lunghe gambe, perché vedeva che il fanciullo trionfava se a lei non riusciva di raggiungerlo.
Altre volte egli la faceva atteggiare colla vita ripiegata innanzi, il dorso teso, ed il capo in giù contro la parete: «Tu sarai il cavallo» diceva. Poi prendeva la rincorsa dall'altro capo della stanza e, d'un balzo, le saltava in groppa. La servetta malingra cedeva come una molla sotto quel peso, e pareva che le sue reni, allungate da una cresciuta rapida, dovessero spezzarsi. Sovente aveva gli occhi pieni di lacrime quando si rialzava contorcendosi tutta, e diceva con un sorriso d'ammirazione: «Come sei pesante!»
Il Dottorino non era uomo da sprecare quella poca grazia di Dio che aveva, e dalla sua tavola non uscivano mai di quegli avanzi che possono fomentare l'ingordigia delle persone di servizio. Per conseguenza la Matta cresceva, cresceva, ma sottile come un pertichino, e dinoccolata da far pietà; specialmente dopo aver giocato a lungo con Giovanni, appariva dinoccolata, e le sue ossa scricchiolavano. Alle volte s'abbandonava sullo scalino del focolare gemendo: «Non ne posso più».
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