Ma allora il fanciullo diceva: «Andrò a giocare colla Rachele». E la serva balzava a quella parola, come un ciuco moribondo sotto la sferzata del padrone, ed era lei che diceva: «No! ancora; voglio giocare ancora».
La Rachele era figlia unica d'un piccolo possidente che nel paese passava per un nababbo. Questi aveva comperato per meno di centomila lire un castellaccio degli antichi signori del territorio, una specie di fortezza con torri, e muraglioni e fossato e ponte levatoio, e vi si atteggiava da castellano, con un buon cuoco, un giornale per favorire il kilo, e pochi amici coi quali beveva, giocava alle carte, ed, a tempo perso, discuteva e risolveva le questioni più importanti della politica interna ed estera. Il Dottorino era uno dei più assidui commensali del castellano, che si chiamava borghesemente il signor Pedrotti.
«Il Dottorino conosce l'età di tutti i miei vini» diceva il proprietario. Ed il Dottorino li invecchiava prodigiosamente senza che l'altro pensasse a correggerlo; in compenso però parlando di lui diceva volentieri: «Come porta i suoi quarant'anni il nostro signor Pedrotti!» e gli toglieva due lustri, per bilanciare quei tanti di più che aveva dati ai vini della sua cantina.
Queste piccole cortesie, che rendono gradito un ospite all'anfitrione, l'umile medico-condotto le sapeva usare come se avesse vissuto lungamente in una corte. In fatto di politica non si ostinava mai, e qualunque fossero le opinioni del proprietario le accettava cortesemente, e le approvava.
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