Questa volta Rachele non sapeva come fare a dire a quel giovinotto elegante, che doveva sedere alla tavola dei bambini; e rimaneva in piedi tra le due mense con un piglio impacciato.
Ma Giovanni, che non aveva spogliata del tutto la sua selvatichezza, e sfuggiva sempre volentieri alla protezione impertinente de' suoi mecenati, fece uno sforzo e vinse la propria timidezza per rassicurare Rachele e sé stesso.
«Spero» disse colla voce un po' tremante, «che non mi vorranno separare da' miei piccoli amici. Abbiamo fatto conoscenza l'anno scorso...»
I bambini lo guardarono sgranando gli occhi ed aprendo la bocca per lo stupore. Non lo riconoscevano affatto, quel bel signorino.
Giovanni sedette in mezzo a loro, e là ogni soggezione scomparve. Serví i piccoli commensali, tagliò la carne nei piatti, spezzò il pane, poi cercò di farsi riconoscere: «Una volta c'erano sei bambini...» e li descrisse coi loro difettucci, che li fecero ridere ed arrossire ciascuno alla sua volta.
«E c'era un ragazzaccio più grande di loro, vestito da prete, con una zimarra così e così, con un cappello a questo modo...» e tirò via a fare la propria caricatura.
I bambini finirono per ricordarsi e raffigurarlo; e fu un ridere, una chiassata, un'allegria tale, che alla mensa vicina non s'udivano più l'un coll'altro, e le burle del Dottorino, che pure da trent'anni parevano sempre divertevoli, non riuscivano a suscitare la solita ilarità.
A poco a poco i discorsi gravi di politica e di interessi municipali furono abbandonati, e tutti quei personaggi seri, consiglieri del Comune e della Provincia, amministratori di Opere Pie, si trovarono col capo inclinato e l'orecchio teso verso la tavola dei bambini, dando retta se potevano afferrare qualche parola, che li facesse partecipare a quell'allegria.
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