Il signor Pedrotti, però, non la prendeva in buona parte, come gli altri, la metamorfosi del suo beneficato. La sua idea era sempre stata di atteggiarsi a protettore, di incoraggiare con una parola buona fatta cadere dall'alto quel giovinetto inconscio del proprio valore, e d'aver lui il vanto d'avere scoperto un genio ignorato. E voleva che Giovanni, standogli dinanzi, fosse compreso di tanta riverenza, da non osar di parlare senza essere interrogato. Quella libertà di spirito, tutta nuova nel ragazzo, gli parve una mancanza di rispetto. Volle riaverlo sott'occhio per tenerlo a segno e gli disse con una certa ironia: «Poiché sei tanto allegro, vieni qui. Facci un po' ridere anche noi».
Giovanni, che nella rigidezza inesorabile de' suoi principii, aveva tutta l'inesperienza de' suoi diciott'anni, si sentì offeso come se gli avessero detto: «Vieni a fare il buffone» e poi avessero anche soggiunto: «come fa tuo padre».
Fare la figura del parassita che faceva il Dottorino, era il suo grande spavento; stava sempre in guardia per non caderci, ed era scontroso per paura di esser servile.
Si alzò per obbedire; ma nel suo cuore si propose severamente di non prestarsi «a quella parte ignobile da giullare». Il posto che gli venne offerto si trovò, per combinazione, accanto a Rachele; forse perché, nella sua cortesia da padrona di casa, era stata la prima a tirarsi da parte.
Ma la presenza di Giovanni non portò nessuna allegria alla tavola signorile. Egli stava sulle difese, ed assumeva modi riservati, serii, da gentiluomo.
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