..».
Pensando alle umiliazioni che gli infliggevano i suoi protettori si sentiva struggere. Le pareva che lo trattassero con enorme ingiustizia e crudeltà.
La menoma allusione alla pensione pagata per lui le pareva un'offesa; e Giovanni le appariva come una vittima della società, una nobile vittima che sopportava con dignità sublime quella tortura, frenando il suo bollente sdegno giovanile, dissimulando il suo giusto orgoglio, per rispetto all'età di quei signori. Ne faceva un martire ed un eroe.
Aveva indovinato ch'egli l'amava e n'era superba. Ogni volta che sapeva di doversi incontrare con lui, s'aspettava che le facesse una dichiarazione. Si proponeva di compensare in quel momento il suo giovine innamorato di tutte le umiliazioni patite.
Era un disegno audace, di cui non c'era esempio nei pochi libri d'amore che aveva letti, e neppure nelle confidenze delle sue amiche, dove la giovinetta respingeva sempre con indignazione le prime parole d'amore, salvo ad accettare le seconde.
Lei aveva risoluto di rispondere alla prima. «Sì, ti amo, perché sei infelice e povero, e voglio essere infelice e povera con te».
Aspettando la dichiarazione, studiava ogni mezzo per atteggiarsi da fanciulla innamorata. Diceva spesso: «Non posso soffrire i ricchi ignoranti. Non isposerò mai altri che un uomo d'ingegno. La povertà degli uomini d'ingegno è una nobile povertà. Tutti gli uomini grandi sono stati poveri».
Parlava di Giovanni ad ogni proposito; soltanto, non osava dire il suo nome, e lo chiamava il figlio del Dottorino.
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Giovanni Giovanni Dottorino
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