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      Egli intanto s'isolava nel suo amore, e soffriva della sua condizione umile. In quei mesi di vacanza passava gran parte della giornata solo, errando per la campagna, e meditava molto, e faceva interminabili castelli in aria. Si figurava d'aver compiuti gli studi, e d'essere riuscito a fare qualche cosa di bello; non sapeva definire precisamente che cosa; variava a seconda delle impressioni del giorno, delle letture che aveva fatte.
      Una volta sognava un trionfo ottenuto con un grande lavoro drammatico; un'altra volta una causa importantissima vinta in tribunale; o aveva stampato un libro a cui tutta la critica applaudiva; o veniva eletto deputato per acclamazione, portato in Parlamento dalla stima e dall'amore di tutto un paese; o otteneva la votazione d'una legge, giusta ma insperata, grazie ad un prodigio d'eloquenza parlamentare... Qualche volta immaginava guerre, atti d'eroismo; si vedeva ferito, decorato sul campo, insignito di alti gradi militari; l'uomo più illustre d'Italia.
      E quando era giunto al punto più alto del suo sogno, si metteva ai piedi di Rachele, e le diceva: «Tutto questo l'ho fatto per rendermi degno di te».
      Ed allora gli pareva che la Rachele delle sue visioni lo accettasse con tenerezza, quasi con riconoscenza. Erano soli e, vinta dalla passione, si abbandonava nelle sue braccia, e gli confessava che lei pure lo aveva amato sempre, che lo aveva aspettato perché aveva fede in lui.
      Finì per sommergersi talmente di quelle sue fantasie, che sfuggiva la gente per non distrarsene.


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Il tramonto d'un ideale
di Marchesa Colombi
pagine 171

   





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