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      Era un mondo illusorio che s'era creato, e nel quale gustava dolcezze ineffabili. Là, la sua timidezza, la sua sguajattaggine, non gli creavano imbarazzo o vergogna. Là era come avrebbe voluto essere, e si sentiva pienamente felice.
      A poco a poco riuscì a persuadersi che quei sogni dello spirito fossero fondati su qualche cosa di reale; che Rachele ne fosse a parte veramente, come lui ne la metteva a parte nella sua fantasia; non le considerava più come un suo sogno, ma come un suo segreto, ed un segreto comune con lei.
     
      Una sera, salendo la collina, contrò in Rachele, con una brigata di signori che scendevano dal vigneto. Ella si sentì arrossire, perdette il filo del discorso che stava facendo, e fu presa da tanta commozione al vederlo, che non osò alzar gli occhi su di lui, e lo salutò appena con un lievissimo cenno del capo. In realtà, tolto di mezzo l'amore il quale non era stato confessato, non c'era nessuna ragione perché il saluto di quella signorina, unica erede del primo possidente del paese, dovesse essere più espansivo verso quello studente povero. Ma Giovanni aveva tanto riunite le loro esistenze ne' suoi sogni d'amore, s'era tanto dato a lei, l'aveva tanto fatta sua coll'immaginazione, che aveva finito col persuadersi che vi fosse un vincolo reale fra loro, e quel saluto freddo gli fece l'effetto d'un secchio d'acqua tra capo e collo, lo meravigliò come un fatto strano, gli parve un'infedeltà, un abbandono.
      Si sentì offeso, infelice; ripensò i grandi argomenti che aveva per credere all'amore di Rachele: i fiori che lei stessa aveva posti accanto a lui sulla tavola dei bambini; il dolce che gli aveva offerto per impedirgli di bisticciarsi col signor Pedrotti.


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Il tramonto d'un ideale
di Marchesa Colombi
pagine 171

   





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