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      Uscirono tutti a prendere il caffè sotto la veranda fuori della stanza da pranzo ed il signor Pedrotti disse a Rachele ed a Giovanni: «Badate un po' ai bambini, che non s'arrampichino al terrazzo laggiù».
      Gl'innamorati s'avviarono in silenzio senza guardarsi. Dalla veranda al terrazzo c'era un pergolato dritto: si sentivano sotto gli occhi dei vecchi; ma sopratutto erano in soggezione di loro stessi.
      Il pranzo s'era prolungato, ed in autunno le giornate sono brevi. Era sull'imbrunire. Il terrazzo in fondo al giardino dominava la pianura del basso Novarese e, dietro il castello, le colline addossate ai monti nascondevano il sole che in quei giorni d'autunno tramontava presto. I bambini, disturbati nei loro giochi, risalirono il viale, e si rimisero a giocare ad una certa distanza. I due giovani si appoggiarono al parapetto del terrazzo. La campagna era deserta; si udiva appena qualche grillo, una cicala che prolungava sola il canto, dopo che le sue compagne avevano finito il loro romoroso concerto, nella vasca del giardino il tonfo d'una rana di tratto in tratto, e giù nel viale il cicalìo dei bimbi. Da lontano le acque del Sissone facevano il rumore d'una sega. Il terrazzo era coperto da una vite vergine, le cui foglie s'erano fatte rosse, ma erano ancora foltissime. Giovanni si ricordò che appunto là aveva sognato di fare la sua confessione, e di stringersi al cuore Rachele in un'estasi d'amore.
      La guardò così estranea a lui, così contegnosa e bella, e quel pensiero gli parve addirittura mostruoso.


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Il tramonto d'un ideale
di Marchesa Colombi
pagine 171

   





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