Finalmente entrò nello studio, freddo, rigido nella sua nudità. C'erano poche sedie ed una scrivania; ma ai due lati della scrivania si rizzavano due alti casellari con una infinità di cassette, e sopra ogni cassetta era scritto, in grossi caratteri di stampa, il nome di una possessione.
Il signor Pedrotti stava scrivendo in un libro mastro; alzò un momento il capo e disse: «Ah! Dunque te ne vai? Aspetta un momento che finisca questa nota».
Tutto il coraggio di Giovanni era svanito. Si sentiva tremare il cuore al momento d'affrontare la grande questione. Leggeva macchinalmente i nomi delle terre: Il Gentilino, La Peveraccia, Sant'Antonio al Fosso... Erano piccole proprietà, ma erano proprietà; egli le conosceva tutte, e ne ignorava il valore. Le contò; erano quattordici. E gli parvero quattordici nemici chiamati là per attestare della sua miseria.
Il signor Pedrotti chiuse il libro, e si alzò tornando a dire: «Dunque te ne vai, figliolo?». «Sì. Vado a cominciare la mia carriera...» rispose Giovanni.
«E fai le tue visite di congedo?» domandò il proprietario, tanto per parlare.
«Sì...»
«Sei stato dal conte Valli, e dal parroco?...»
«No, sono venuto prima da lei...»
«Bravo, ti ringrazio. Vuoi restare a colazione qui? Saluterai anche Rachele».
Giovanni si sentiva venir freddo, aveva le mani diacce e bagnate di sudore, ed il cuore gli balzava così forte che ne aveva il respiro corto e la voce tremante. Ma tuttavia quell'accoglienza buona lo incoraggiava, e, fermo nel suo proposito, disse: «No, grazie.
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