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      Consacrerò tutte le ore, tutti i minuti della mia vita a lavorare per compensarti del tuo nobile sacrifizio, e quando sarò spossato, consacrerò ancora i miei riposi ad adorarti.
      Ma è troppo sperare. Non voglio illudermi. Tu sei donna e sei giovine. Tuo padre ti ama, e ti sei avvezza ad obbedirlo in tutto. È il tuo dovere, povera cara. Il libro verrà senza la gioia che aspetto. Ed io penserò che mi ami, che soffri, che piangi, ma che ti rassegni, e mi abbandoni al mio destino.
      Mi farai un gran male, cara; un gran male. Ma ti amo tanto, che ti perdonerò.
     
      Quand'ebbe scritto, chiuse la lettera, e scese a cercare la Matta. La trovò in cucina accoccolata sullo scalino del focolare che si dondolava gemendo. La chiamò, e le disse, spiccando le parole perché potesse capirle: «Vai al castello. Di' che ti mando io a riprendere quel libro che ho prestato alla signorina».
      La Matta stava tutta imbronciata ed a capo chino, come se non volesse obbedire.
      «Hai capito?» domandò Giovanni. Ella si contorse tutta e borbottò: «Io non so».
      Ma Giovanni s'impazientì, ed insistette colla voce alterata: «Ho assolutamente bisogno che tu faccia quest'imbasciata. Ripeti come dico io». E tornò a dire: «Mi manda il signor Giovanni...».
      La Matta lo guardava fisso; lo vide pallido, agitato, tremante; allora, con tutta l'attenzione di cui era capace, imparò la lezione. Quand'ebbe detto, Giovanni riprese dandole una lettera:
      «Quando sarai entrata dalla signorina, e nessuno ti potrà vedere, le darai questa lettera; ma bada, che non veda nessuno».


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Il tramonto d'un ideale
di Marchesa Colombi
pagine 171

   





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