Bisognava che s'affrettasse, che diventasse rinomato e ricco presto, subito, finché la Rachele era fanciulla, prima che un altro la sposasse.
Quest'idea gli accendeva la febbre nel sangue. Egli confondeva il lungo avvenire col fuggevole presente, gli pareva di dover correre sempre, affrettarsi sempre, non perdere un minuto, come se incominciasse una gara alla corsa con un competitore immaginario.
Il passo del ronzino malandato che lo trascinava trotterellando verso la stazione di Borgomanero lo faceva fremere d'impazienza. Quando fu nella carrozza di ferrovia trovò lenta la locomotiva come il ronzino, si dimenò sul sedile, alzò ed abbassò i vetri, cavò fuori l'orologio, poi l'orario, contò le stazioni, fece il controllo dei minuti, ed a Novara si lagnò con un impiegato, perché c'erano stati novantacinque secondi di ritardo. Quasi due minuti perduti pel suo avvenire.
I primi tempi del suo soggiorno a Milano furono come un secchio d'acqua su quell'ardore. Il signor Pedrotti, nel raccomandare quel povero figliolo all'avvocato Berti un mese prima, gli aveva scritto: «Badi che non ha altro, fuorché quello che potrà guadagnare nel suo studio; cerchi di procurargli un alloggio economico, e se è possibile, anche una pensione adatta a' suoi mezzi, da povero figliolo com'è».
L'avvocato Berti gli aveva assegnate cinquanta lire al mese, e gli aveva trovata una camera presso un fabbricante di zoccoli e forme da scarpe, a due passi dal suo studio.
Non era veramente una camera; anzi, due anni prima, faceva parte dei metri cubi di spazio che costituivano la bottega.
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