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      La sera, invece di sgobbare sui soliti lavori di traduzione o di copiatura, riandava tutto quello studio fatto e rifatto. Si preparava in mente il discorso che voleva pronunciare all'udienza, lo allargava, lo particolareggiava. Poi voleva udirne il suono, voleva provare i gesti. E si rizzava in piedi, serio senza troppa solennità, salutava in giro l'assito del mezzanino, e cominciava ad arringare semplicemente e con calma gli zoccoli e le forme che gli pendevano intorno. A grado a grado si animava, gli pareva di vedere, tramezzo a quei piedi grotteschi di legno, comparire la faccia bianca di Rachele che gli sorrideva per incoraggiarlo, e la parola gli veniva spontanea ed elegante coll'illusione d'essere ascoltato da lei, e si riscaldava, ed alzava la voce, finché lo zoccolaio spaurito sporgeva il capo ornato del beretto da notte per vedere se prendeva fuoco la casa.
      Quando si metteva a letto, stanco ed esaltato, sentiva in sé l'anima d'un legale illustre e s'inebbriava colla visione d'una vittoria che doveva stabilire la sua riputazione; pensava all'impressione che quella splendida riescita doveva produrre a Fontanetto. Gli pareva di vedere i mecenati inchinarsi a lui, il Pedrotti stendergli le braccia in atto di scusa, e tutte le comari e comarette del paese uscire sulle botteghe e sugli usci, e gridarsi l'una all'altra: «Eh! Il figlio del Dottorino? L'avvocato Mazza? Che gloria! ed ora sposa la figlia del signor Pedrotti del Castello!».
      Allora il suo spirito si smarriva nei sogni d'amore; saliva in un vagone solo con Rachele pel viaggio di nozze e chiudeva la sportello.


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Il tramonto d'un ideale
di Marchesa Colombi
pagine 171

   





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