Poi tornò a precipizio, perché la mattina seguente dovevano cominciare i dibattimenti.
Giunse a Milano coll'ultimo treno della sera, dopo essere stato assente più di una settimana. Rientrando in casa trovò un telegramma del parroco di Fontanetto che lo aspettava da sei giorni.
Partecipo con dolore morte dottor Mazza, tuo padre. Trovato esanime in letto stamane; spirato, pare, iersera. Regolamenti sanitari vietano differire sepoltura oltre ventiquatt'ore. Telegrafa ordini funerali.
Dopo sei giorni i funerali dovevano essere fatti e dimenticati. Non era molto che Giovanni aveva spedita al padre una piccola somma; poi c'erano i mobili di casa. Egli pensò che ormai non c'era più bisogno de' suoi ordini, e tanto meno della sua presenza a Fontanetto, che del resto il processo del domani rendeva assolutamente impossibile.
Egli aveva fatto il suo dovere, anche a costo di grandi sacrifici, sovvenendo il padre nella sua miseria; ma non era un figlio devoto. La vita da parassita, le ubbriacchezze del Dottorino, la sua servilità verso i signori, le sue violenze in casa, e l'ultimo degradamento del delirium tremens a cui lo sapeva ridotto, non lo invogliavano a correre al suo paese, per raccogliere l'eredità di sprezzo, che doveva essere l'unica successione del povero morto. Sapeva che in quel momento non avrebbe inspirata nessuna simpatia, perché era troppo viva la memoria di quell'ignobile vita e di quell'ignobile morte. E d'altra parte non gli premeva più tanto di produrre un'impressione favorevole a Fontanetto.
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