Andai a vedere Fulvia nel suo camerino in teatro; Giorgio mi vi raggiunse, e tornammo all'Albergo Milano insieme.
Fulvia aveva cantato quella sera con tanta grazia e tanta passione, che il pubblico l'aveva accolta con entusiastici applausi. Nel camerino s'erano affollate le visite a complimentarla. Io l'avevo ascoltata da un palco di proscenio, ed amantissimo della musica, ero stato profondamente commosso dalla sua voce; dimenticai le parole poco lusinghiere per me che ella avea dette ad Albani e, nella sincerità dell'animo, le dissi porgendole la mano:
- Signora Fulvia, ella mi ha strappato le lagrime.
- Le ho vedute, mi rispose: e mi strinse la mano cordialmente, e da quel momento fummo amici.
VI.
Il domani Fulvia non cantava, ed io accompagnai la giovane artista in casa Prandi a passarvi la serata. La società era poco numerosa. Vittoria accolse la sua raccomandata colla solita affabilità, e mi parve che si riuscissero simpatiche a vicenda. Ciarlarono all'amichevole un po' di tutto; Fulvia saltando di palo in frasca, trattando le cose con frivolezza mista d'un zinzino di sarcasmo, ed esprimendo certe idee arrischiate che facevano restare gli ascoltanti a bocca aperta. La marchesa seria, melanconica, ragionevole.
Io certo preferivo il nobile buon senso della donna mia; ma così, da osservatore, notai che la conversazione di Fulvia riusciva più piacevole.
La marchesa mi guardava col suo occhio profondo pieno d'amore; i lunghi sguardi ch'ella mi volgeva tradivano la più viva passione.
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