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      Certo, Giorgio Albani, col suo cuore entusiasta correva pericolo di perdere la pace, frequentando quella giovane. Compresi che, a preservare l'amico mio da una passione che potrebbe costargli delle amarezze, era mio dovere condividere con lui la compagnia dell'artista; e, quando uno di noi dovesse rimanere solo con lei, era meglio che restassi io, che nel mio impegno con Vittoria aveva una salvaguardia.
      Il giorno dopo cominciai, coll'eroismo dell'amicizia, a passare tutte le mìe ore di libertà presso Fulvia.
      Giorgio era sempre con noi; veniva insieme e partivamo insieme. Egli le lanciava sguardi appassionati; la circondava d'ogni maniera di premure; e quando parlava con lei aveva persino un'altra voce; trovava delle note profonde di petto che non avevo mai conosciute nella sua scala vocale.
     
     
     
      VII.
     
      Un giorno, uscendo da pranzo con un amico, incontrai Fulvia tutta sola che camminava a passi accelerati in via del Monte Napoleone dirigendosi verso il Corso. Presentai l'amico a lei, lei all'amico, e dalla presentazione emerse, sempre nuovo come la Fenice della favola, il famoso complimento:
      - Ho tanto piacere di fare la sua conoscenza, colrispettivo: - Il piacere è tutto mio.
      Ma per verità, se vi fu momento in cui Fulvia non mi diede grande idea del suo spirito, fu quello; tanto più che, nel pronunciare quel supremo dei luoghi comuni, la vidi arrossire come una collegiale.
      - Qui c'è del torbido, pensai; e quindi le chiesi dove fosse diretta.
      - Dalla signora Melli, mi rispose, e continuava ad arrossire.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





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