Riepilogavamo in brevi frasi interrotte i discorsi fatti. Mi ricordo di averle detto:
- Io compiango quel povero giovane che s'innamorerà di una donnina tanto capricciosa.
- Non lo compianga - mi rispose Fulvia con una profonda nota di petto che non aveva mai fatto vibrare fin allora, neppure in teatro. - Non lo compianga, perchè io credo di saper amare come poche donne sanno.
In quel momento Fulvia era bella d'entusiasmo e di passione.
- Per otto giorni? le dissi; e veramente anche la mia voce non aveva più il suono di prima.
Oh! gioventù, gioventù!
Prima che Fulvia avesse tempo a rispondere, l'uscio si aperse, ed entrò Giorgio con alcuni amici.
Giorgio era pallidissimo; aveva l'occhio spento; una nube di tristezza pareva velargli la fronte; i suoi atti erano lenti, la sua voce fioca. Disse: "Buona sera, Fulvia" come avrebbe detto "Requiescat in pace." Lo trovai molto ridicolo. Gli gridai alla mia volta "Buona sera, Giorgio!" come avrei gridato "Viva l'Italia!"
E traversata la sala andai a piantarmi dinanzi allo specchio con un sorriso di soddisfazione. Non ero un uomo serio, ed avevo la convinzione di ballare orribilmente male. Per la prima volta compresi la portata di codeste mie grazie.
Quando mi ritirai nella mia camera e mi coricai, invocai invano il sonno ed il riposo. Il bernoccolo della morale aveva preso in me uno sviluppo straordinario. Ero profondamente pentito d'aver potuto oltraggiare Ernesto ne' suoi affetti coniugali; un momento di delirio mi aveva trascinato, mio malgrado, a tradire l'amicizia; quel momento era durato quattro anni.
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