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      - È giovane e pura, e sarà mia - pensai. - E sorsi, e me le accostai, per ripeterle quelle sue parole, per implorare in nome dell'amore l'esaudimento delle mie ardenti speranze.
      - Fulvia... - mormorai prendendole la mano.
      Ella alzò il capo e mi guardò addolorata. Ma innanzi alla lealtà del suo sguardo il mio ardire venne meno. Era quello sguardo con cui m'aveva fissato dicendomi: "Se mi amate, saprete rispettarmi sempre."
      I miei amici che aspirano alla riputazione di Don Giovanni sentenzierebbero senza dubbio, leggendo queste parole, che tutte le donne dicono così. Io ammiro che sappiano quel che dicono tutte le donne. Quanto a me non lo so. Ma so di certo che Fulvia doveva dirlo in modo differente dalle altre, perchè quelle parole, in bocca a lei, erano sincere, ed inspiravano rispetto.
      Le mie idee si confusero. Non osai rammentarle quel suo discorso avventato d'altre volte e, quasi inconscio dell'atto imprudente, le porsi tremando l'ultimo biglietto di Vittoria.
      Ella lo lesse, poi me lo rese in silenzio. Più discreta di me, non pronunciò il nome della povera donna che aveva traditi i suoi doveri per me. - L'indovinò forse? O lo conosceva?
      Seppi più tardi che lo conosceva. E che nel suo animo, in cui m'aveva posto tanto alto, non entrò neppure il sospetto che quell'atto mi fosse inspirato dalla stupida vanità di far pompa d'una mia conquista. - Comprese il muto linguaggio ch'io le parlavo dandole quella carta: - Io ho rotto dei legami che duravano da anni per amor di voi; non farete voi altrettanto per me?


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





Don Giovanni Fulvia Vittoria