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      Non mi cadeva in mente che lo studio d'un'arte potesse essere questione di denaro.
      Il babbo che mi aveva data un'istruzione nell'idea di fare di me un'istitutrice, s'adattò senza difficoltà a farmi invece una cantante.
      Io, che avevo desiderato cantare come dilettante, mi adattai, parimente senza difficoltà, ad essere artista. E tre anni dopo cantavo per la prima volta in un concerto, dopo il quale firmai la mia prima scrittura per la stagione di primavera a questo teatro Carcano di Milano.
      Come vedete, la mia carriera s'iniziò tranquillamente, senza contrasti. Non avevo una famiglia aristocratica che s'indignasse di vedermi sulle scene, e contro cui avessi a difendere l'arte incompresa. La mia famiglia è modestissima; non vanto passate grandezze; la mia vita d'artista non ha nulla di drammatico; tutto è prosa intorno a me.
      E la mia storia più intima, quella che mi dispongo a confidarvi? Ahimè, Max, è prosa anch'essa. Ora soltanto che è divenuta un ostacolo fra noi, attinge un po' di poesia da questa circostanza; la triste poesia del dolore.
      Uomini e donne hanno la crudele abitudine di rinnegare dinanzi ad un nuovo amore i loro amori precedenti. Tutt'al più ne ammettono uno, se la sua notorietà impedisce di negarlo; ma s'affrettano a dire che non fu vero amore; che fu un sogno giovanile, una calda amicizia cui il cuore illuso scambiò per una passione. Il solo vero amore deve sempre essere l'attuale.
      È forse atto di cortesia per lusingare l'amor proprio della persona amata; per dirle:


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





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