- Perchè non ho a cantare un'aria che mi piace?
- Perchè non le giova a nulla, mi disse riprendendo la sua calma abituale. È una melodia bella a sentirsi, ma che non fa fare nessuna ginnastica alla voce, e la sua ha bisogno di esercitarsi nelle difficoltà, per svilupparsi ed acquistare agilità ed estensione.
- Gli esercizi sono freddi e mi annoiano, borbottai; non c'è sentimento.
- L'espressione del sentimento, - riprese il giovane verista, - è infatti una delle attrattive per cui la musica ottiene il favore del pubblico. Ma per noi la musica dev'essere uno studio serio, e non un idillio sentimentale.
Io fui sempre troppo sincera, come mi conoscete, Max. La parola mi fugge dal cuore al labbro, senza dar tempo alla ragione di controllarla. Indignata di quelle parole che reprimevano il mio entusiasmo, lo rimbeccai con vivacità:
- Ella non ha cuore se intende la musica così. Il maestro d'aritmetica non parlerebbe altrimenti.
Egli non mi rispose. Aperse sul leggìo un fascicolo di studi sugli arpeggi, ed incominciò gli accordi dell'accompagnamento, accennandomi di ripetere la mia lezione.
Ma io ero irritata; cantavo male. Feci due o tre note false; egli mi corresse; la vergogna mi paralizzò la voce; gettai la musica sul pianoforte, fuggii all'altro capo della stanza, sedetti ad uno scrittoio colle braccia sovr'esso ed il capo sulle braccia, e scoppiai in pianto.
Il maestro stette un momento in silenzio, durante il quale sentii che mi guardava. Vi sono sguardi che si sentono come un raggio carico di elettricità rivolto su di noi.
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Max
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