E continuò:
- Guardi, ne ero tanto sicuro, che le ho portato un fiore per fare la pace.
Così dicendo, mi porgeva la vaniglia che s'era tolta dall'occhiello dell'abito.
Io accettai quel fiore; poi fui mortificata della mia facile condiscendenza, e, tanto per darmi un contegno, osservai che era bello.
Egli mi rispose che l'aveva coltivato sul suo balcone; che amava molto i fiori, che gli rammentavano le persone care che non poteva aver vicine; e riprese:
- Ella non crederà che io abbia delle persone care, poichè dice che non ho cuore.
- Vedo bene che non ne ha, - gli risposi - se non sa perdonare un'offesa.
- Ma è perchè la sua offesa è troppo grande. È la più grande che si possa fare ad un povero giovane.
Io non diceva nulla. Egli soggiunse:
- Dica, lo crede davvero ch'io non abbia cuore?
Ed accompagnava quella domanda con uno sguardo che smentiva altamente l'accusa.
Ebbi appena il tempo di dirgli
No" e tosto s'udì la direttrice che s'avvicinava alla classe.
Io aveva in mano il fiore di vaniglia che un momento prima era all'occhiello dell'abito del maestro. Se la direttrice l'avesse veduto, non avrebbe mancato di farne rimprovero non a me sola, ma a lui; anzi a lui solo, perchè quanto a me non potevo che accettare la cortesia d'un superiore.
Tutto questo mi passò in mente nell'atto ch'ella apriva la porta, e con un movimento rapidissimo nascosi il fiore. Ma nel fare codesto arrossii vivamente. Era riconoscere che nel dono di quel fiore c'era implicato qualche cosa che la direttrice non doveva sapere; che quel qualche cosa io l'avevo indovinato; e però accettando il fiore, avevo accettato il qualche cosa sott'inteso; ed ora nascondendolo, convenivo d'avere un segreto comune con lui.
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