Egli mi ringraziò con uno sguardo, poi cercando fra i fascicoli di musica l'aria della Straniera che era stata causa del suo malumore, e mettendola sul leggìo, mi disse:
- Canti un poco per riposarsi dallo studio.
Compresi che voleva così ringraziarmi secondando una mia predilezione, e cantai. Ma quell'aria mi era divenuta antipatica, e da quel giorno non vi fu astruseria di logaritmi musicali che non mi esaltasse fino al delirio.
All'altra lezione il maestro portò un nuovo fiore. Le compagne trovarono modo di far uscire la direttrice, ed appena fummo soli il fiore mi venne offerto, come cosa convenuta. Accettando quell'altro avevo stabilito un precedente che autorizzava il giovane maestro a procurarmene una collezione.
Gli domandai s'era anche del suo balcone.
- Sì, era una pianta giovinetta e tutta in fiore. Aveva qualche cosa che mi somigliava. Egli la chiamava la vaniglia di Fulvia. Credeva di vedermi guardandola; nel togliere quel fiore gli era sembrato di farmi male e di sentirmi piangere....
- Che tenerezza! esclamai volendo mostrare del sarcasmo.
- Ebbene, riprese, si meraviglia della mia tenerezza? Ora non crede più ch'io non abbia cuore; si ricordi che mi ha detto di no, che non lo crede più.
Io sorridevo senza rispondere e mi sentivo tutta accesa in volto. Egli mi prese lentamente una mano e soggiunse:
- Ora lo sa, nevvero, che ho un cuore?
- Ero tutta commossa da quella prima stretta di mano. Lo guardai. Egli era bello in quel momento; ed il suo volto animato non aveva più nulla della freddezza abituale.
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Straniera Fulvia
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