Abbassai il capo, e non dissi nulla; ma avevo accennato di sì.
- Ed un cuore capace d'amare..., continuò egli alzandosi dal piano e baciandomi lievemente la fronte senza abbandonar la mia mano.
Io feci un altro cenno come il primo.
- E lei non mi vuol anche un po' di bene? Non pensa un poco a me?
Terzo cenno come sopra.
Ero timidissima e quella scena che non mi dispiaceva punto, mi confondeva. Tuttavia era ben vero ch'io lo credeva innamorato, e lo amavo. Non mi sarebbe stato possibile di negarlo.
D'allora appena poteva esser solo un momento con me, mi prendeva la mano e mi dava un bacio. A poco a poco codesto finì per diventare un'abitudine. Ma una dolce, dolce abitudine di cui mi sentivo lieta e tranquilla.
Così passarono gli ultimi tre anni ch'io rimasi in collegio. Ci eravamo promessi di sposarci, quando la sua posizione sarebbe più assicurata. Era una promessa vaga, che si perdeva in un avvenire indefinito; ma io ne ero felice. Non avrei desiderato anticiparla. Dovevo fare la carriera del teatro. Ed allora sarei libera di vederlo sempre, di parlargli, di fare insieme delle passeggiate solitarie. Io viaggerei sola; egli mi verrebbe a vedere sovente. Mi pareva d'essere in una città ben lontana da Torino, applaudita dal pubblico, circondata da ammiratori; e ad un tratto di veder lui, il mio bel maestro tutto trafelato che avea percorsa una strada infinita per vedermi un'ora, un'ora d'espansione.
Tutto questo mi preoccupava la fantasia. Io sognava tutte le follìe giovanili dell'amore, che allora la vigilanza continua della direttrice rendeva impossibili.
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Torino
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