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      Quei tre anni passarono. Uscii di collegio. Dovevo studiare un anno ancora prima di poter cantare in pubblico. Il babbo riprendendomi con sè, dovette rimettere casa. Egli non aveva la menoma risorsa. Convenne prendere un mobiglio a credenza, impegnandosi a pagarlo in un anno a rate mensili.
      Codesto riduceva il suo stipendio ai minimi termini. Poi bisognò pensare ad un corredo per me, che appunto per la carriera a cui miravo, avevo d'uopo di farmi conoscere e di figurar bene.
      Dedotto tutto, ci rimaneva appena di che vivere economicamente. Per sottrarre ancora da quella modesta entrata, già tanto assottigliata, la spesa delle mie lezioni di musica, avrei dovuto condannare il mio povero babbo e me ad infinite privazioni.
      Non so se avrei durato costantemente in quel proposito; però in quel momento per parte mia mi vi sarei sobbarcata volentieri. Ma non potei accogliere l'idea di imporre simili sacrifici al babbo. Decisi di studiare da sola.
      Alle due, l'ora in cui soleva darmi lezione in collegio, il maestro venne. Il babbo era all'ufficio. Eravamo soli. Egli mi salutò col solito bacio, poi aperse il pianoforte, cattivo strumento da nolo, che ai primi accordi lo fece rabbrividire.
      Io gli dissi, cercando dissimulare la difficoltà della dichiarazione sotto una frase scherzosa:
      - Non vi atteggiate a maestro, Welfard; ora non siete più il mio maestro.
      - Perchè no? Cosa sono ora?
      - Siete.... un amico....
      - Più che un amico, Fulvia; lo sapete. Ma codesto non toglie ch'io sia anche il vostro maestro.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





Welfard Fulvia