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      Stavo ancora seduto al pianoforte quando venne recato a Fulvia un biglietto d'una signora a cui io stesso l'avevo presentata, che la invitava a pranzare seco, ed aggiungeva che vi sarei anch'io, perchè mi aveva scritto in proposito.
      Riservandomi a ricevere quel biglietto al mio ritorno a casa, insistetti presso Fulvia perchè accettasse, promettendole di accompagnarla e poi ricondurla a casa e passare tutta la sera con lei, e tutte le ore del domani.
      Ella dunque accettò.
      Poco dopo giunse Giorgio, e rimase con noi sino all'ora del pranzo. Allora uscimmo insieme, e Giorgio ci accompagnò sino in via Torino alla casa dove eravamo invitati.
      Fulvia ci aveva domandato un momento di libertà, di cui io avevo profittato per correre a casa a cangiar abito, ed al mio ritorno l'avevo trovata in una elegante toletta verde cupo, con un gran collare alla Medici ed un ramo d'edera nei capelli. Quella tinta cupa s'adattava benissimo al suo colore olivastro e pallido; ed il collare altissimo correggeva la linea un po' aspra del suo collo eccessivamente lungo.
      Fulvia non era bella. Non so che cos'avesse di attraente. Era forse il suo occhio innamorato o l'infinita dolcezza che spirava da tutto il suo volto, e specialmente dalla sua bocca? O era la sua voce bellissima, la seduzione possente del canto?
      No; questo posso affermarlo; l'ammiravo come artista, ma l'amavo come donna. Se non avesse cantato, l'avrei amata egualmente, e chi sa? Forse l'avrei amata meglio.
      Era il suo carattere leale fino all'ingenuità, appassionato fino all'esaltazione; erano i suoi modi; era l'originalità del suo spirito; e, più che tutto, era "amor, che a nullo amato amar perdona" il quale mi faceva sentire l'influenza della simpatia che inspiravo.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





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