- Mi amate, Fulvia?
Ma anzichè udirmi rispondere qualche dolce parola, sentii una mano irritata strapparmi la tazza di thè, gettarmi fuori dalla pagoda, ed una voce ironica, senza note di petto, dirmi all'orecchio:
- Destatevi. Come siete brutto quando dormite!
Apersi gli occhi trasognato. Avevo dormito come uno sciocco nella famosa poltrona di Fulvia. E quel ch'è peggio avevo dormito brutto. Mi parve di vedere Giorgio danzare un valzer vertiginoso nella camera; balzai in piedi spaventato, e questa volta non più per divagazione d'ebbrezza, ma con profondo terrore domandai:
- Mi amate, Fulvia?
- No; mi rispose. Non vi amo più. Quest'orrenda notizia vi dò. E voltandomi le spalle andò a sedersi al pianoforte e suonò tutto quello che potè pescare di più tedesco nel suo repertorio musicale. La tempesta di Rubinstein, il rondò dell'Oberon, il duetto del secondo atto del Lohengrïn.
Per protezione speciale di santa Cecilia non mi addormentai di nuovo. Stetti sopportando pazientemente quel supplizio acustico, e poi andandole dietro la sedia e togliendole le mani dalla tastiera le susurrai:
- Ora basta di germanizzare, Fulvia. Siamo un poco italiani.
- No, mi rispose senza voltarsi. Non vi amo più.
Io me le inginocchiai accanto per poterla guardare negli occhi, e le dissi:
- Davvero? Ripetetelo.
- Sì, lo ripeto, non vi amo più. Macbeth ha ucciso il sonno, ed il vostro sonno ha ucciso il mio amore.
- Che bisticcio! esclamai figgendo sempre più i miei occhi ne' suoi e tenendole strette le mani. Siate sincera, Fulvia.
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