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      Non potevo più tollerare quell'incertezza. Pensai di mettermi a suonar il pianoforte ed a vocalizzare per isvegliare Max. Ma le mani mi tremavano convulse, e la voce poi! M'attaccai al cordone del campanello, e suonai come se avesse preso fuoco alla stanza. Non avevo che questo pensiero: svegliarlo! Così quando un servo ed una cameriera accorsero spaventati per vedere che cosa accadesse, fui sul punto di gridare: È svegliato? Per buona sorte l'abitudine della società ci muta la natura e ci governa. Non lo feci, sebbene non potessi rendermi conto razionalmente di quel doveroso riserbo. Feci più: quei volti spaventati mi avvertirono della violenza con cui avevo chiamato, e l'istinto di coprire il mio sentimento mi suggerì questa parola:
      - Un sorcio! ho veduto un sorcio!
      La cosa mi giustificava completamente. Nessun codice a questo mondo può esigere che una donna conservi il suo sangue freddo dinanzi a un sorcio. La cameriera, meno riguardosa di me, perdette ogni contegno al solo nome dell'inoffensivo animale e si pose a strillare come una pazza. Tutti i forestieri si affacciarono alle loro porte, tutti si diedero a cercare eroicamente quel sorcio di fantasia. Anche il nuovo arrivato dal pastrano bigio uscì nel corridoio. Non era Max.
     
     
     
      XX.
     
      La mattina seguente aspettavo ancora. Ed ancora passò l'ora degli arrivi senza che alcuno bussasse alla mia porta. C'era lettera almeno per me? Non osavo domandare. Mi pareva che persino i camerieri dovessero leggermi in volto l'ansietà del cuore, e comprendere che soffrivo un'amara delusione; nel loro linguaggio brutale, una canzonatura.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





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