Ed intanto poteva essere che la lettera ci fosse laggiù nella tavola, e che nessuno pensasse a portarla. Mio Dio! come farli ricordare di me? Ah! uscirò.
Detto fatto. Misi cappello e cappotto e scesi le scale lentamente, senza sapere dove andassi. Nel passare dinanzi all'ufficio sentii gridarmi:
- Signora, scusi; una lettera per lei.
Ebbi un sussulto che mi scosse dalla testa ai piedi. Mi sentii divenire fredda. Era una lettera grossa, ed era di Max.
Non saprei dire come nè quando avessi veduta la sua scrittura, ma la riconobbi.
Rimasi là due minuti paralizzata con quella lettera in mano. Assolutamente non potevo avventurarmi per la strada con quella curiosità nell'anima. C'era da cadere in apoplessia. E neppure potevo tornare indietro dopo essermi avviata con quella sicurezza come se un grande affare m'aspettasse fuori. È impossibile dire fino a che sottigliezze arriva in una donna il pudore del sentimento. Ma uno dei suoi istinti principali è di dissimulare agli estranei l'interesse che inspira una lettera.
Mi venne un'idea, e la colsi al volo come una ispirazione di cielo.
Mi avviai direttamente alla sala da pranzo, quasi che quella e non altra fosse stata la mia meta.
- Fa colazione? mi chiese il cameriere.
- Sì.
- Cosa prende? Caffè e panna?
- Sì. - Mi sarebbe stato impossibile dir altro. Poi pensai che non volevo esser interrotta dal servizio mentre leggerei la mia lettera, ed aggiunsi:
- Subito.
Appena seduta ero servita. Apersi quella busta, stesi il foglio dinanzi a me appoggiato alla bottiglia dell'acqua, presi da una mano la molletta, dall'altra la zuccheriera.
| |
Dio Max
|