Sic transit.
E finì il mese dei bagni, e mi recai a Firenze dove ero scritturata per andar in iscena colla Jone al teatro della Pergola.
Le lettere di Max s'erano fatte sempre più misteriose; mi citava dei versi d'amore, ne scriveva per me. Nella mia qualità d'artista ero circondata a Firenze come altrove. Ben pochi non mi corteggiavano; ed a me pareva che l'amore fosse il grande affare dell'umana vita.
Il babbo era tornato con Gualfardo a Torino; non avevo ambiente di famiglia che m'inspirasse a maggiore serietà d'idee. Quanto a Gualfardo non mi parlava mai, nelle sue lettere, del nostro matrimonio, più che d'un eclissi lunare. E così mi restava sempre quel vuoto nel cuore, ch'egli non pensava a riempiere con una parola appassionata, e ch'io popolava colla calda memoria di Max.
Ero alla vigilia di lasciar Firenze. Scrissi al babbo che sarei partita col primo treno dell'indomani, e sarei giunta a Torino la sera stessa. Non contavo fermarmi per via.
La sera mi giunse una lettera di Max. Era una strana lettera, che riporto per intero.
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- "Mia buona amica,
- "Avete voluto mortificarmi rimproverandomi i sottintesi delle mie lettere; accetto la lezione e ve ne ringrazio. Voi dite sempre le cose vere, e per giunta, come le dite benino! Insomma, siete una giovane ammodo, e vorrei esservi vicino per esprimervi tutto il trasporto d'amicizia e di simpatia... che ho per voi.
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