Ero così indisposta contro di me, mi giudicavo così severamente, che quell'emozione involontaria alla voce di Giorgio mi sembrava una colpa. E sentivo orrore di me. Impaurita de' miei sentimenti, li prendevo tutti in mala parte. Se un accattone m'avesse commossa domandandomi un soldo, mi sarei accusata d'amare quell'accattone. Se un poeta ignoto m'avesse commossa colle sue rime, o un maestro colle sue melodie, mi sarei accusata d'amare quel poeta e quel maestro.
Però m'accusavo a torto. Ora, ripensando a tutto quel passato, se v'ha cosa in cui possa riposare la mente senza scontento di me, se v'ha memoria di cui possa gloriarmi, è quella della sera passata con Giorgio, della sua lealtà, del suo nobile contegno, della sua vera amicizia.
XXV.
Ebbi un'altra notte d'insonnia angosciosa; ed ancora mi alzai all'alba, ed ancora passai una mattina in ansietà assurde e ridicole per chi m'avesse osservata a sangue freddo, ma che per me erano una vera agonia.
Alle dieci s'udì una corsa rumorosa su per le scale, come d'un cameriere che accorra ad un appello impaziente, o d'un ragazzo che giochi; e la sbarra risuonava forte. Ed immediatamente il mio uscio fu aperto con impeto. E, senza farsi annunciare, senza bussare, senza chieder permesso, Max irruppe in camera tutto ansante, e mi prese nelle sue braccia.
Era dunque ancora lui, impetuoso, passionato, che non faceva mai nulla come gli altri. Non era vero ch'egli fosse mutato. Alteramente bello ed alteramente imprudente come prima, dimenticava il mondo dinanzi al suo amore, non soffriva l'indugio d'un'ambasciata, correva lieto e spensierato dove lo portava il cuore.
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Giorgio Giorgio Max
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