Com'era felice di vedermi! Anch'io fui felice, Furono belle ore; ore di gioia inebriante. E quel bacio sulla mia fronte, quel bacio che aveva descritto nella sua lettera, fu quanto di più intimo, di più colpevole avvenisse tra noi. Egli mi stringeva le mani, e mi diceva:
- Voi mi siete sacra per la vostra ingenua fiducia, Fulvia. Sono contento d'amarvi così. Credetelo pure, io conosco il mondo, e vi giuro che la sola felicità vera, è quella che si può rammentare senza rimorso.
Perchè, s'egli può rammentarmi senza rimorso, ne rimase tanto a me? I doveri d'una donna sono dunque così differenti e maggiori? E, da lei che è più debole, si dovrà pretendere di più? Cosi è. Egli mi rispettava, faceva il suo dovere di uomo d'onore; era onesto e grande. Io mi creavo un segreto, preparavo una menzogna per ingannare un nobile cuore, ed ero colpevole.
Ma allora non pensavo più a fare esami di coscienza.
Max possedeva tutte le superiorità. La bellezza, la forza, l'ingegno, il carattere; ed in esse io trovava una scusa alla mia debolezza, ed una protezione contro le accuse del mondo e della mia coscienza.
XXVI
Non vidi più Giorgio, non vidi più alcuno fuori di Max. Egli mi lasciò, appena per qualche ora, al tempo del pranzo. Poi tornò. Faceva un gran caldo. Aprimmo il balcone; ci sedemmo l'uno accanto all'altro tenendoci per mano, e guardando, giù nella via, le signore che andavano al teatro Manzoni a piedi ed a capo scoperto per pigliare il fresco. Eravamo sereni ed ilari come due fanciulli. Io gli dissi:
| |
Fulvia Giorgio Max Manzoni
|