- Ecco, io non potrò mai andare a teatro con voi. Eppure sarei tanto felice se lo potessi. Seduta in un palchetto in faccia ad uno sposo amato, come si devono risentire tutte nell'anima le situazioni passionate del dramma! Vi sono certe scene che non ho mai potuto udire senza provare un gran desiderio di ripeterle con una persona amata.
Allora egli volle che ne citassi qualcuna; ma la mia memoria non me ne suggeriva; ero tutta assorta nella bella scena reale che rappresentavamo noi due per noi soli. E gli risposi:
- Suggeritemi voi, così vedrò se i nostri pensieri si sono accordati prima di conoscerci.
Ed egli a citarmi le cose più strambe, passando dagli amori di Arlecchino e Colombina, alla tomba di Giulietta; ricordando le situazioni più comiche, evitando a bello studio tutte le scene di passione. E ridevamo come due scolari in vacanza. Io gli chiesi:
- Che cosa fanno stasera al Manzoni?
- Non lo so, mi rispose; vado a vedere.
- Sì, poi mi racconterete la commedia; e se non la sapete dovrete inventarla.
- Accettato. Le scene di sentimento le reciteremo a braccio.
E scese a leggere il manifesto. Io lo guardavo dalla finestra.
La commedia annunciata era il Terenzio. Egli risalì, felice che dovessimo parlare in versi martelliani. Io mi prestai di buon grado alla scena tra Terenzio e Creusa, e da parte di Max, i versi di Goldoni non furono peggiorati certo.
Quando cominciò la gente ad uscir dal teatro, gli dissi che lo spettacolo era finito, e che doveva ritirarsi. E ci lasciammo stringendoci la mano.
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