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      Giovani, liberi, innamorati, riuniti misteriosamente, ci lasciammo con una stretta di mano, e fummo felici,
      sotto l'usbergo del sentirci puri."
     
     
     
      XXVII.
     
      L'indomani colla prima corsa dovevo partire. Egli sarebbe venuto a prendermi per accompagnarmi allo scalo, per salutarmi ancora. E poi? Poi nulla. Non c'era prospettiva d'un altro ritrovo, non c'era avvenire per noi. Scriverci... era tutto.
      Erano le undici. Mi restavano quattro ore per finire di mettere in sesto la mia valigia, spettinarmi, svestirmi, dormire, poi rivestirmi, ripettinarmi. Ed avevo il cuore così angosciato, ero in tale eccitamento nervoso che prevedevo di passare una terza notte di veglia. Rinunciai affatto a coricarmi. Mi abbandonai in una poltrona col capo tra le mani, decisa ad aspettare là il momento della partenza.
      Avrei voluto che quel momento fosse giunto. Avrei voluto essere già a Torino. Avrei voluto non essere stata a Milano. Appena Max non mi era più accanto, mi sentivo profondamente umiliata e pentita della mia posizione. Ripensavo ad una ad una tutte le mie conoscenze, per cercare se ve ne fosse qualcuna a cui potessi confidare quella mia gita misteriosa. No; tutte quante erano troppo oneste persone per accettare una simile confidenza. Forse sapendola avrebbero cessato di frequentarmi.
      Oh Dio! Avevo commesso un'azione da non poter confessare alle persone oneste! Dopo ciò, che importava che io stessa fossi onesta? Ed in vero, avevo perduta quella onestà morale, che risulta dalla lealtà del nostro procedere.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





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