Intanto eravamo usciti sotto il portico, e Gualfardo fece avanzare una carrozza. Quando io ed il babbo vi fummo entrati, Gualfardo mi domandò la ricevuta del mio bagaglio, e voleva rimanere per farmelo condurre a casa subito. Io risposi che non occorreva; potevo far ritirare i bauli con comodo il domani.
Egli ci mise dell'insistenza, come se gli desse noia d'entrare in carrozza con noi. Allora il babbo gli disse:
- Almeno metti qui le valigie che t'imbarazzano.
Un altro plurale! Io non avevo che una valigia.
- Sì, dissi; posate la mia valigia. Ed intanto tiravo fuori il portafogli per dargli la ricevuta del bagaglio.
Egli posò sul sedile dinanzi a noi la mia valigia, prese lo scontrino che gli porgevo, e via.
- Gualfardo! gli gridò il babbo. Anche l'altra, che ne fai di quell'impiccio?
Gualfardo tornò indietro. Era un po' arrossito, ed il suo occhio ebbe qualche cosa di triste in risposta al mio sguardo attonito.
Egli aveva due valigie!
- Ma io non ne ho che una, gli dissi. Quella non è mia...
- È mia, disse Gualfardo.
Sentii vagamente che in quella parola c'era qualche cosa di spaventoso, e tuttavia non compresi ancora.
- Vostra! esclamai. Mi siete venuto incontro colla valigia?
- Ma sì; - ed entrando in carrozza soggiunse: Tanto fa che venga con voi; il bagaglio lo prenderò domani; e diede l'indirizzo al cocchiere. Poi, fissandomi con quella sua aria impassibile da tedesco che metteva i brividi, mi disse:
- Vi sono venuto incontro fino a Milano; ecco perchè ho la valigia.
- Ah? che? come?
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