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      - Ah, bene! Poichè sei qui, ti lascio la valigia della tua padrona, e profitto della carrozza per portare a casa la mia. - Disse questo col solito piglio tranquillo. E cedette la valigia. Se ne andava! Mi lasciava appena arrivata. Che voleva dire? Sapeva perchè ero stata a Milano? Si allontanava per sempre?
      Questo pensiero mi traversò la mente spaventoso, come l'idea della morte, che ci empie di terrore nell'istante di cadere in deliquio. Esso mi strappò una domanda angosciosa:
      - Gualfardo! mi lasciate?... e tosto, sentendo la stranezza di quell'impeto, soggiunsi: Non restate a colazione con noi?
      - Non posso, mi rispose, senza neppure notare la mia agitazione. Sono due giorni che manco alle lezioni. Verrò questa sera.
      Due giorni! Gli porsi macchinalmente la mano, e salii le scale di corsa senza aver mente a rispondere una parola.
      Due giorni! Mio Dio! Quanto può aver scoperto in due giorni!
     
     
     
      XXIX.
     
      Per tutti i vizi che la morale condanna, per tutte le colpe che la legge punisce, dovrebbe essere espiazione sufficiente la tortura morale che io soffersi quel giorno. Mi sentivo avvilita in faccia a Gualfardo; sentivo ch'egli aveva diritto di sprezzarmi, e ne piangevo con tutta l'amarezza del mio cuore. Pensavo:
      - Questa sera, o mi darà un bacio, come soleva prima che partissi, ed io dovrò renderlo, - io che l'ho tradito, - fare la parte di Giuda, piegarmi all'onta della finzione. O non mi darà il solito bacio, ed allora vorrà dire che sa tutto, che non si considera più mio fidanzato, ma ha bastante fede nella mia lealtà per aspettare che gli faccia io stessa la confessione che gli debbo.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





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