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      E poi egli non avrebbe avuto alcun bisogno di farmi continuare a cantare. Per adattarsi alla vita di famiglia avrebbe dovuto far violenza al suo carattere gioviale, brillante; alle sue abitudini chiassose e disappensate; imporsi una gravità, una monotonia, un ordine d'esistenza a cui non era punto inclinato, e che gli avrebbero costato un vero sacrificio.
      Ed io, cosa avrei potuto dargli in compenso di tutto codesto? Il mio amore. Ma quante donne potevano dargli altrettanto, e per di più censo, bellezza, ingegno...
      Decisamente nel matrimonio a lui sarebbe toccata la parte bella della generosità; a me quella umiliante dell'egoismo. Ecco perchè non desideravo di sposare Max.
      Invece Gualfardo era avviato alla stessa mia carriera del teatro. Non guadagnava più di me; e non poneva nessun ostacolo a che io continuassi a cantare, e contribuissi quanto lui e più di lui alla vita comune.
      Egli pure aveva molto ingegno; a lui pure sorrideva la gloria, ma la stessa gloria, lo stesso ingegno che sorridevano a me. Eravamo pari. E poi egli era taciturno, serio, compassato; non attirava le simpatie. Ed era quindi più in grado di apprezzare il mio affetto. Era delicato di salute e misantropo, due cose che creavano a lui il bisogno della famiglia, a me la gioia e l'orgoglio di fargliene sentire i vantaggi.
      Per tutte queste ragioni io mi spaventavo all'idea di perdere l'amore di Gualfardo, malgrado la libertà che mi risulterebbe da quella perdita.
     
     
     
      XXX.
     
      Gualfardo fu buono quella sera come sempre. Mi baciò in fronte come soleva fare ogni sera, e mi parve che mi stringesse al suo cuore con un'espansione insolita.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





Max Gualfardo Gualfardo