Ne risentii più acuta la fitta del rimorso. Mi sentivo così vile, d'ingannarlo come facevo, così vile...
Avrei voluto scrivere a Max di troncare ogni corrispondenza con me; di dimenticarmi, di lasciarmi tutta ai miei doveri. Ma non ne avevo il coraggio. Ed aspettavo la sua lettera con tutta l'ansietà. - Sempre la miserabile attrattiva del frutto proibito!
Il posdomani la lettera venne.
Max era malato. Soffriva, era triste. Non poteva scrivermi altro perchè stava a letto. Appena guarito mi scriverebbe a lungo, aveva tante cose a dirmi.
Era malato; ed io non poteva correre a lui, sedermi accanto al suo letto, curarlo, vegliarlo. Ed era malato per me, per la mia partenza; ne ero sicura. Stava così bene prima! Era dunque il dispiacere che lo faceva star male. No. Decisamente la nostra posizione non poteva durare così. Non si comanda ai proprii sentimenti. Poichè ci amavamo - non solo per noi, ma per lo stesso Gualfardo - era necessaria una confessione, una risoluzione.
Quella sera aspettai Gualfardo in uno stato di eccitazione straordinaria. Volevo esser sola con lui. Ed invece il babbo s'era incastonato nel suo seggiolone come una perla in un anello. Aveva l'aria di doverci rimanere il resto de' suoi giorni; dacchè ero tornata, da tre giorni, non era più uscito.
- Non esci a passeggiare, babbo? gli domandai.
- No, mi rispose; fa un caldo orribile.
Che fare? Pure era necessario ch'io parlassi con Gualfardo da sola.
- Babbo, ripresi. Io invece sento il bisogno di passeggiare questa sera. Vuoi ch'io vada al Valentino a far un giro con Gualfardo? vuoi?
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