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      Son venuto per parlarti di cose gravi. Resta qui. Fammiti vicina; ho bisogno d'abbracciarti per prender coraggio, povera Fulvia!
      Pensai che Gualfardo gli avesse scritto che rinunciava alla mia mano.
      - Vuoi dirmi di Gualfardo?... domandai.
      - No, cara. Ti parlerò anche di lui, ma quello è il più caro, il più consolante de' miei pensieri. Debbo dirti una triste, triste notizia; si tratta di me, Fulvia, del tuo povero babbo...
      Era profondamente commosso; la sua voce tremava.
      Credetti di comprendere, e chiudendogli la bocca con un bacio, gli dissi:
      - Non dir più altro, babbo. Sono una sbadata; avrei dovuto pensarci prima, che puoi trovarti in istrettezze. Io ho tutto il denaro dell'ultimo teatro. Da questa mattina non avrai più nessun pensiero molesto; scusami, povero babbo, non penso mai a nulla.
      - Tu sei un angelo, mi rispose singhiozzando; ed io debbo perderti, lasciarti per sempre...
      A quella parola una luce fatale si fece nella mia mente. Misi un grido e scoppiai in pianto.
      Povero, caro babbo! Egli, tanto ammalato, mi consolava in quel supremo dolore.
      - Il tuo cuore ti ha detto la verità. Coraggio, mia buona Fulvia. Pensa che sono vecchio. Dobbiamo pur morir tutti...
      - Ma no, tu non morrai; tu non devi morire. Faremo tutte le cure possibili; chiameremo dei medici. - E piangevo, e mi agitavo nella convulsione del mio dolore, tenendo stretto al cuore quel mio unico parente, quasi per contenderlo alla morte che lo minacciava.
      La serva accorse alle mie grida, e mi disse con piglio severo:
      - Non faccia scene, signorina.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





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