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      - Dunque sei ben contenta di vederlo; dunque lo ami; sarai felice con lui? Quanto bene mi fa questo pensiero. Temevo che tu non l'amassi.
      Quella parola fu un altro rimprovero. Sì. Amavo Gualfardo con tutta la mia riconoscenza di figlia. Ma non era quello l'amore cui pensava il mio povero babbo.
      Esatto come sempre, Gualfardo giunse all'ora indicata. Egli fu generoso fino all'eroismo. Debbo pur dirlo, per quanto la sua generosità fosse per me una tortura. Mi salutò colla solita dolcezza tranquilla, mi strinse la mano e mi baciò sulla fronte. Ma intanto mi susurrò all'orecchio col suo sguardo più cerimonioso:
      - Perdonate, Fulvia; è necessario fingere per la pace del babbo.
      E tutto il conforto, tutta la dolcezza che m'avea posta nell'anima la soave intimità di quel saluto, dileguarono a quelle parole.
      D'allora egli fu sempre assiduo presso il babbo come lo era stato durante la mia lontananza. Quando li vedevo uscire insieme, e Gualfardo si metteva un braccio del povero babbo intorno al collo, e lo cingeva alla vita per sorreggerlo nello scendere la scala, poi entro la carrozza gli accomodava i cuscini, e mi salutavano tutti e due dalla finestra dove correvo per vederli ancora, pensavo con dolore che io era estranea a quel cuore che mio padre credeva mio, che non m'era più data la suprema delle gioie di rendergli una vita d'amore in compenso della sua generosa devozione.
      A misura che lo vedevo così nobile, così buono, la memoria di Max diveniva più scolorita nella mia mente. Ed in quell'atmosfera di affezioni calme, legittime, sante, il mio amore per Max mi sembrava un romanzo, una follia.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





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